Psicoterapeuti Esperti
Nella ricerca di un terapeuta, spesso ci si lascia guidare dai sintomi in cui si esprime il proprio malessere. Si cerca allora uno psicoterapeuta esperto in attacchi di panico o in depressione, nell’area della dipendenza affettiva o della sessualità e così via.
In effetti il più delle volte è proprio il sintomo che porta alla decisione di iniziare un percorso, per via della sofferenza e dei limiti che impone al funzionamento di tutti i giorni. Il sintomo segnala che qualcosa non va, senza tuttavia spiegare perché non va, tant’è vero che due persone che soffrono di attacchi di panico, potrebbero avere ragioni e significati estremamente differenti alla base della loro difficoltà.
La persona che arriva in terapia conosce bene il suo sintomo e ne sa descrivere perfettamente la portata disfunzionale, si può dire che ne sia esperto. Quello che il paziente ancora non sa, e su cui si basa il lavoro in terapia, è quale sia invece la funzionalità del suo sintomo: a cosa gli serve? quali sono i suoi vantaggi inconsci?
E non è una domanda risibile, di cui si può trovare la risposta nelle pagine di un manuale, proprio perché si basa sulla storia personale del paziente, sulle sue configurazioni relazionali, quelle più antiche, ma anche quelle attuali, sul modo in cui le esperienze vissute hanno (s)colpito il suo specifico mondo emotivo. Tutto ciò forma la parte più nascosta dell’iceberg, quella più monumentale, di cui il sintomo rappresenta solo la punta! È facilmente deducibile che, ancora una volta, sia il paziente il vero esperto della sua storia, e che il terapeuta debba lasciarsi insegnare da lui. Ed è davvero quello che dovrebbe accadere: la psicoterapia è un processo di apertura graduale, nel corso del quale il terapeuta prova a conoscere il paziente nel modo più esauriente possibile. Essere esperti di sintomi, potrebbe essere addirittura controproducente quando porta a considerare selettivamente le informazioni del paziente, per esempio dando eccessivo valore a quelle che confermano le aspettative iniziali e sminuendo quelle non previste, anche se più evidenti.
Penso che un terapeuta sia esperto, non tanto di categorie diagnostiche o di insiemi di sintomi, ma piuttosto quando riesce a guardare ogni volta il suo paziente con occhi nuovi, anche dopo anni di terapia. È esperto il terapeuta che vede il suo paziente come qualcuno da cui imparare costantemente ed è quindi disposto a non dare mai niente per scontato, mantenendo per lui un’appassionata curiosità che riesce perfino a trasmettergli. È esperto il terapeuta che quando guarda il suo paziente vede sì il suo passato, ma soprattutto il suo futuro e le cose che potrebbero essere diverse, ed è capace di restituirgli la sua stessa fiducia nel guardare a se stesso.
Nella ricerca di un terapeuta, spesso ci si lascia guidare dai sintomi in cui si esprime il proprio malessere. Si cerca allora uno psicoterapeuta esperto in attacchi di panico o in depressione, nell’area della dipendenza affettiva o della sessualità e così via.
In effetti il più delle volte è proprio il sintomo che porta alla decisione di iniziare un percorso, per via della sofferenza e dei limiti che impone al funzionamento di tutti i giorni. Il sintomo segnala che qualcosa non va, senza tuttavia spiegare perché non va, tant’è vero che due persone che soffrono di attacchi di panico, potrebbero avere ragioni e significati estremamente differenti alla base della loro difficoltà.
La persona che arriva in terapia conosce bene il suo sintomo e ne sa descrivere perfettamente la portata disfunzionale, si può dire che ne sia esperto. Quello che il paziente ancora non sa, e su cui si basa il lavoro in terapia, è quale sia invece la funzionalità del suo sintomo: a cosa gli serve? quali sono i suoi vantaggi inconsci?
E non è una domanda risibile, di cui si può trovare la risposta nelle pagine di un manuale, proprio perché si basa sulla storia personale del paziente, sulle sue configurazioni relazionali, quelle più antiche, ma anche quelle attuali, sul modo in cui le esperienze vissute hanno (s)colpito il suo specifico mondo emotivo. Tutto ciò forma la parte più nascosta dell’iceberg, quella più monumentale, di cui il sintomo rappresenta solo la punta! È facilmente deducibile che, ancora una volta, sia il paziente il vero esperto della sua storia, e che il terapeuta debba lasciarsi insegnare da lui. Ed è davvero quello che dovrebbe accadere: la psicoterapia è un processo di apertura graduale, nel corso del quale il terapeuta prova a conoscere il paziente nel modo più esauriente possibile. Essere esperti di sintomi, potrebbe essere addirittura controproducente quando porta a considerare selettivamente le informazioni del paziente, per esempio dando eccessivo valore a quelle che confermano le aspettative iniziali e sminuendo quelle non previste, anche se più evidenti.
Penso che un terapeuta sia esperto, non tanto di categorie diagnostiche o di insiemi di sintomi, ma piuttosto quando riesce a guardare ogni volta il suo paziente con occhi nuovi, anche dopo anni di terapia. È esperto il terapeuta che vede il suo paziente come qualcuno da cui imparare costantemente ed è quindi disposto a non dare mai niente per scontato, mantenendo per lui un’appassionata curiosità che riesce perfino a trasmettergli. È esperto il terapeuta che quando guarda il suo paziente vede sì il suo passato, ma soprattutto il suo futuro e le cose che potrebbero essere diverse, ed è capace di restituirgli la sua stessa fiducia nel guardare a se stesso.
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