Libere Associazioni
Una delle condizioni necessarie per il lavoro di analisi è la “regola fondamentale”¹ delle libere associazioni con cui si invita il paziente a dire tutto quello che gli viene in mente senza riserve.
Freud scrive: “Si comporti, per fare un esempio, come un viaggiatore che segga al finestrino di una carrozza ferroviaria e descriva a coloro che si trovano all’interno il mutare del panorama dinanzi ai suoi occhi.²”
Per il paziente, permettersi di raccontare tutti i pensieri che giungono alla sua osservazione senza giudicarli, senza preoccuparsi di dover seguire un filo o di attenersi a un giudizio di coerenza (“mi viene in mente questo, anche se non c’entra…”), non è una condizione facile da realizzare.
Se nella vita di tutti i giorni, infatti, si organizza il proprio linguaggio secondo criteri razionali, nella stanza d’analisi viene richiesto di disabituarvisi, e di diventare osservatori dei propri pensieri, ricordi, immagini, emozioni, stati corporei e intuizioni. In tal senso i collegamenti tra le varie associazioni possono essere visti dal paziente come senza senso, proprio perché non seguono il linguaggio della logica, bensì quello dell’inconscio.
Ad esempio, il paziente che risponde a un intervento del terapeuta, con il ricordo di quando da bambino si nascondeva nella casa sull’albero per non farsi trovare dai genitori, molto probabilmente non vorrà comunicare al terapeuta il fatto in se stesso, ma più presumibilmente la sua reazione di chiusura all’intervento troppo diretto dell’altro. Il terapeuta competente, non prenderà la comunicazione alla lettera (come accade nella vita quotidiana), e proverà a sintonizzarsi con i significati profondi della comunicazione del paziente.
È proprio per questo che nulla di ciò che il paziente esprime è banale o senza senso, ma tutto ha un motivo d’essere.
Inoltre, non solo il contenuto del discorso è importante, ma anche la forma delle comunicazioni perché è meno soggetta alla censura del contenuto. Prendiamo ad esempio l’incapacità del paziente di portare a termine i suoi progetti nella vita e notiamo come spesso non concluda i discorsi o, addirittura, lasci in sospeso le frasi.
Per concludere, come il paziente è invitato a dire tutto quello che gli passa per la mente senza sottoporlo a critica e a selezione, così anche il terapeuta si impegna a mettersi in ascolto del paziente con attenzione liberamente fluttuante ovvero senza applicare un giudizio o una critica alla comunicazione dell’altro, ma accogliendo tutte le parti del discorso con la stessa attenzione.
L’atteggiamento dell’analista, però, diversamente da quello del paziente, non è un fluttuare senza redini, ma implica un’attenzione costante alle associazioni del paziente, per poi cogliere i significati profondi sottesi alla sua comunicazione.
[1] Ferenczi parla anche di una seconda regola fondamentale della psicoanalisi, secondo la quale un analista deve essere stato a sua volta analizzato per svolgere al meglio il suo ruolo.
[2] Freud, 1913-14,
Una delle condizioni necessarie per il lavoro di analisi è la “regola fondamentale”¹ delle libere associazioni con cui si invita il paziente a dire tutto quello che gli viene in mente senza riserve.
Freud scrive: “Si comporti, per fare un esempio, come un viaggiatore che segga al finestrino di una carrozza ferroviaria e descriva a coloro che si trovano all’interno il mutare del panorama dinanzi ai suoi occhi.²”
Per il paziente, permettersi di raccontare tutti i pensieri che giungono alla sua osservazione senza giudicarli, senza preoccuparsi di dover seguire un filo o di attenersi a un giudizio di coerenza (“mi viene in mente questo, anche se non c’entra…”), non è una condizione facile da realizzare.
Se nella vita di tutti i giorni, infatti, si organizza il proprio linguaggio secondo criteri razionali, nella stanza d’analisi viene richiesto di disabituarvisi, e di diventare osservatori dei propri pensieri, ricordi, immagini, emozioni, stati corporei e intuizioni. In tal senso i collegamenti tra le varie associazioni possono essere visti dal paziente come senza senso, proprio perché non seguono il linguaggio della logica, bensì quello dell’inconscio.
Ad esempio, il paziente che risponde a un intervento del terapeuta, con il ricordo di quando da bambino si nascondeva nella casa sull’albero per non farsi trovare dai genitori, molto probabilmente non vorrà comunicare al terapeuta il fatto in se stesso, ma più presumibilmente la sua reazione di chiusura all’intervento troppo diretto dell’altro. Il terapeuta competente, non prenderà la comunicazione alla lettera (come accade nella vita quotidiana), e proverà a sintonizzarsi con i significati profondi della comunicazione del paziente.
È proprio per questo che nulla di ciò che il paziente esprime è banale o senza senso, ma tutto ha un motivo d’essere.
Inoltre, non solo il contenuto del discorso è importante, ma anche la forma delle comunicazioni perché è meno soggetta alla censura del contenuto. Prendiamo ad esempio l’incapacità del paziente di portare a termine i suoi progetti nella vita e notiamo come spesso non concluda i discorsi o, addirittura, lasci in sospeso le frasi.
Per concludere, come il paziente è invitato a dire tutto quello che gli passa per la mente senza sottoporlo a critica e a selezione, così anche il terapeuta si impegna a mettersi in ascolto del paziente con attenzione liberamente fluttuante ovvero senza applicare un giudizio o una critica alla comunicazione dell’altro, ma accogliendo tutte le parti del discorso con la stessa attenzione.
L’atteggiamento dell’analista, però, diversamente da quello del paziente, non è un fluttuare senza redini, ma implica un’attenzione costante alle associazioni del paziente, per poi cogliere i significati profondi sottesi alla sua comunicazione.
[1] Ferenczi parla anche di una seconda regola fondamentale della psicoanalisi, secondo la quale un analista deve essere stato a sua volta analizzato per svolgere al meglio il suo ruolo.
[2] Freud, 1913-14,
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