La Capacità di Sognare
Nel lavoro analitico, i sogni sono materiali davvero preziosi. Accade spesso che le persone che approdano a un percorso riferiscano di non riuscire a ricordare i loro sogni o addirittura di dubitare di sognare. Altrettanto spesso accade che, via via che l’analisi procede, assieme al mondo emotivo della persona, si sblocchi anche quello onirico e si riesca a sognare o, meglio, a ricordare i sogni fatti.
Si può dire perfino che uno degli obiettivi principali della psicoterapia psicoanalitica sia quello di affinare la capacità del paziente di sognare. In che senso?
Sognare è un modo per elaborare stati emotivi, crisi, cambiamenti, difficoltà e problemi vissuti durante la veglia, tanto che si parla di funzione traumatolitica del sogno[1]. Il sogno è infatti lo scenario in cui vengono riproposti in maniera camuffata eventi complessi (come una decisione importante) o particolarmente dolorosi (come una notizia spiacevole) che la persona ha sì vissuto, ma che non ha sufficientemente affrontato, nel tentativo di padroneggiarli almeno su un piano inconscio. È come se, mentre di giorno ci adoperassimo a chiudere in gabbia i leoni, di notte arrivasse qualcuno per liberarli, attivando in noi paure, ansie, preoccupazioni, grattacapi, desideri indicibili, ma anche corrispettivi tentativi di risoluzione del problema e di adattamento alla realtà. In tal senso il sogno non parla solo di eventi passati, ma contiene tracce di futuro (aspettative, desideri, speranze…).
Al contrario gli incubi o i sogni interrotti alludono a una difficoltà della persona di accedere alla sua esperienza emotiva e di simbolizzarla. In questi casi i le emozioni della persona rimangono separate dalla sua consapevolezza e non trovano piena espressione nelle immagini oniriche. Negli incubi, infatti, il sognatore interrompe il processo di elaborazione emotiva con un risveglio anticipato e dunque con la fuga dal contenuto onirico.
Il racconto di un certo sogno può, infine, essere elicitato dagli scambi tra paziente e analista, al pari di qualsiasi pensiero o libera associazione, caricandosi quindi di un valore non solo soggettivo, ma anche intersoggettivo. In tal senso offre uno spunto per analizzare più da vicino la sintonizzazione relazionale tra i due.
È in questo senso che il lavoro analitico dovrebbe affinare la capacità del paziente di sognare, ovvero di sbloccare un pensiero autoriflessivo (la capacità di pensare alla propria esperienza emotiva) anche da svegli.
[1] Sàndor Ferenczi
Nel lavoro analitico, i sogni sono materiali davvero preziosi. Accade spesso che le persone che approdano a un percorso riferiscano di non riuscire a ricordare i loro sogni o addirittura di dubitare di sognare. Altrettanto spesso accade che, via via che l’analisi procede, assieme al mondo emotivo della persona, si sblocchi anche quello onirico e si riesca a sognare o, meglio, a ricordare i sogni fatti.
Si può dire perfino che uno degli obiettivi principali della psicoterapia psicoanalitica sia quello di affinare la capacità del paziente di sognare. In che senso?
Sognare è un modo per elaborare stati emotivi, crisi, cambiamenti, difficoltà e problemi vissuti durante la veglia, tanto che si parla di funzione traumatolitica del sogno[1]. Il sogno è infatti lo scenario in cui vengono riproposti in maniera camuffata eventi complessi (come una decisione importante) o particolarmente dolorosi (come una notizia spiacevole) che la persona ha sì vissuto, ma che non ha sufficientemente affrontato, nel tentativo di padroneggiarli almeno su un piano inconscio. È come se, mentre di giorno ci adoperassimo a chiudere in gabbia i leoni, di notte arrivasse qualcuno per liberarli, attivando in noi paure, ansie, preoccupazioni, grattacapi, desideri indicibili, ma anche corrispettivi tentativi di risoluzione del problema e di adattamento alla realtà. In tal senso il sogno non parla solo di eventi passati, ma contiene tracce di futuro (aspettative, desideri, speranze…).
Al contrario gli incubi o i sogni interrotti alludono a una difficoltà della persona di accedere alla sua esperienza emotiva e di simbolizzarla. In questi casi i le emozioni della persona rimangono separate dalla sua consapevolezza e non trovano piena espressione nelle immagini oniriche. Negli incubi, infatti, il sognatore interrompe il processo di elaborazione emotiva con un risveglio anticipato e dunque con la fuga dal contenuto onirico.
Il racconto di un certo sogno può, infine, essere elicitato dagli scambi tra paziente e analista, al pari di qualsiasi pensiero o libera associazione, caricandosi quindi di un valore non solo soggettivo, ma anche intersoggettivo. In tal senso offre uno spunto per analizzare più da vicino la sintonizzazione relazionale tra i due.
È in questo senso che il lavoro analitico dovrebbe affinare la capacità del paziente di sognare, ovvero di sbloccare un pensiero autoriflessivo (la capacità di pensare alla propria esperienza emotiva) anche da svegli.
[1] Sàndor Ferenczi
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