Genitori e Adolescenti
La difficile danza tra dipendenza e autonomia
Aiutare gli adolescenti nel punto di snodo della loro crescita implica per gli adulti (almeno) una doppia competenza: da un lato, quella di riconoscere e valorizzare il loro movimento evolutivo, dall’altro quella di accettare un cambiamento speculare nel proprio ruolo – sia nelle vesti di genitore che in quelle di insegnante. Si tratta di due aspetti importanti e così interconnessi che non possono non andare di pari passo, pena la creazione di una frattura generazionale che può assumere due forme.
Da una parte, infatti, i genitori di adolescenti devono assecondare la ridefinizione delle geometrie familiari: la necessaria asimmetria dell’infanzia deve essere smussata per fare posto a una maggiore orizzontalità del legame. Opporsi a questo movimento significa interrompere la comunicabilità con i figli nella maniera in cui una diga blocca il corso di un fiume, creando in aggiunta un bacino d’acqua potenzialmente impetuoso. È il caso di quei modelli parentali autoritari in cui i figli sono considerati prolungamenti dei genitori, da controllare e indirizzare verso le mete pensate per loro. La stessa situazione può delinearsi in ambito scolastico con insegnanti appiattiti sulle logiche del premiare e del punire.
Dall’altra, i vasi smettono di essere comunicanti anche quando i genitori sono eccessivamente flessibili verso i figli, proprio come un elastico che se tirato troppo crea grandi distanze tra le parti. In questi casi è come se i genitori non sapessero reggere l’opposizione dei figli senza andare in crisi e spesso questa latitanza è da loro intesa come un modo per entrare nel mondo criptico dei ragazzi. Sul piano pratico, tuttavia, gli atteggiamenti iperprotettivi e accondiscendenti rischiano di alimentare il senso di onnipotenza tipico dell’adolescenza che, invece, in questa fase dovrebbe cedere il passo a un più maturo realismo: l’adolescente è così reso più fragile e allontanato dall’autonomia. Le tracce di quest’onnipotenza si ritrovano anche nel profondo bisogno di certi adulti di sentirsi eternamente giovani, non riuscendo così a porsi con autorevolezza verso i ragazzi. Un adulto incastrato in un’adolescenza prolungata rischia di impedire il necessario scambio generazionale che, sia in famiglia che a scuola, serve al giovane come punto di riferimento per costruire la sua identità.
Se nel primo caso, genitori con le forbici in mano adattano una crescita potenzialmente rigogliosa entro spazi da loro determinati, nel secondo, al contrario, osservano complici uno sviluppo selvaggio e senza limiti che invade caotico tutto il paesaggio. Il denominatore comune di queste situazioni è dato da adulti che, non riuscendo a smarcarsi da rigide soluzioni personali, non possono vedere chiaramente né se stessi né l’altro.
In fondo è un po’ come se gli adolescenti avessero bisogno che gli adulti per loro significativi riconoscessero i passi che compiono verso l’autonomia, in una specie di paradosso in cui è solo da una certa dipendenza che può nascere una vera indipendenza. Solo comprendendo il profondo intreccio tra le due parti, è possibile abbandonare posizioni arroccate nella distanza o nella fusione e farle danzare in un delicato equilibrio.
Aiutare gli adolescenti nel punto di snodo della loro crescita implica per gli adulti (almeno) una doppia competenza: da un lato, quella di riconoscere e valorizzare il loro movimento evolutivo, dall’altro quella di accettare un cambiamento speculare nel proprio ruolo – sia nelle vesti di genitore che in quelle di insegnante. Si tratta di due aspetti importanti e così interconnessi che non possono non andare di pari passo, pena la creazione di una frattura generazionale che può assumere due forme.
Da una parte, infatti, i genitori di adolescenti devono assecondare la ridefinizione delle geometrie familiari: la necessaria asimmetria dell’infanzia deve essere smussata per fare posto a una maggiore orizzontalità del legame. Opporsi a questo movimento significa interrompere la comunicabilità con i figli nella maniera in cui una diga blocca il corso di un fiume, creando in aggiunta un bacino d’acqua potenzialmente impetuoso. È il caso di quei modelli parentali autoritari in cui i figli sono considerati prolungamenti dei genitori, da controllare e indirizzare verso le mete pensate per loro. La stessa situazione può delinearsi in ambito scolastico con insegnanti appiattiti sulle logiche del premiare e del punire.
Dall’altra, i vasi smettono di essere comunicanti anche quando i genitori sono eccessivamente flessibili verso i figli, proprio come un elastico che se tirato troppo crea grandi distanze tra le parti. In questi casi è come se i genitori non sapessero reggere l’opposizione dei figli senza andare in crisi e spesso questa latitanza è da loro intesa come un modo per entrare nel mondo criptico dei ragazzi. Sul piano pratico, tuttavia, gli atteggiamenti iperprotettivi e accondiscendenti rischiano di alimentare il senso di onnipotenza tipico dell’adolescenza che, invece, in questa fase dovrebbe cedere il passo a un più maturo realismo: l’adolescente è così reso più fragile e allontanato dall’autonomia. Le tracce di quest’onnipotenza si ritrovano anche nel profondo bisogno di certi adulti di sentirsi eternamente giovani, non riuscendo così a porsi con autorevolezza verso i ragazzi. Un adulto incastrato in un’adolescenza prolungata rischia di impedire il necessario scambio generazionale che, sia in famiglia che a scuola, serve al giovane come punto di riferimento per costruire la sua identità.
Se nel primo caso, genitori con le forbici in mano adattano una crescita potenzialmente rigogliosa entro spazi da loro determinati, nel secondo, al contrario, osservano complici uno sviluppo selvaggio e senza limiti che invade caotico tutto il paesaggio. Il denominatore comune di queste situazioni è dato da adulti che, non riuscendo a smarcarsi da rigide soluzioni personali, non possono vedere chiaramente né se stessi né l’altro.
In fondo è un po’ come se gli adolescenti avessero bisogno che gli adulti per loro significativi riconoscessero i passi che compiono verso l’autonomia, in una specie di paradosso in cui è solo da una certa dipendenza che può nascere una vera indipendenza. Solo comprendendo il profondo intreccio tra le due parti, è possibile abbandonare posizioni arroccate nella distanza o nella fusione e farle danzare in un delicato equilibrio.